Razzismo dolce amaro

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A cura di Assunta Giordano

È comprensibile ignorare la globale deriva razzista a cui si va incontro in maniera più o meno palese in ogni dove? Per definizione, il razzismo è una forma di discriminazione dettata da ignoranza e poca intelligenza emotiva; l’aggravarsi di tale condizione di cecità conduce, talvolta, alla violenza generata dall’odio raziale.

Eventi che fino a poco tempo fa avremmo potuto definire sporadici, si raddoppiano e triplicano con risvolti inquietanti e umanamente avvilenti. Non c’è modo semplice ed immediato per arginare alcuni fenomeni di violenza ingiustificata, dovrebbero essere prevenuti attraverso la cultura, l’informazione e la conoscenza: ci si può definire umani senza aver avuto la capacità e la voglia di costruire un pensiero critico in grado di filtrare le esperienze che viviamo in prima persona e quelle che subiamo? Il cinema è potenzialmente uno strumento riflessivo, un modo relativamente rapido per conoscere una nuova storia e successivamente riflettere e prendere una decisione personale emotivamente significativa.

Eppure, per la maggior parte delle volte, la paura ci fa preferire dolci favolette piuttosto che storie così crudeli da poter sembrare irreali, come se si potesse scegliere tra un razzismo dolce e un altro amaro. È un po’ quello che è successo per gli oscar 2019: Green book e BlacKkKlansman, entrambi affrontano la tematica del razzismo, ma lo fanno da due prospettive così differenti, che dopo averli visti entrambi, ci si ritrova inesorabilmente a convincersi che uno dei due non ha raccontato la verità. Se siamo troppo spaventati, crederemo solo a Green book; se invece siamo troppo arrabbiati, crederemo solo a BlacKkKlansman. Alla luce di questa logica, la scelta di premiare Green book come miglior film sembra un tentativo di volersi raccontare una dolce e romantica favoletta in un momento storico in cui si è costretti a dover accettare sparatorie su persone innocenti compiute da mani di persone affette da una sconcertante e squallida lucidità che riesce a portare il fanatismo e l’odio razziale su un podio fatto interamente di corpi umani. La cruda realtà raccontata da Spike Lee (che è riuscito quanto meno a prendere il premio per migliore regia) è quella di cui abbiamo bisogno, è quella di cui dobbiamo avere paura, è quella contro cui dobbiamo combattere. Le verità costruite dall’uomo sono, per la maggior parte delle volte, edifici oscuri, crepati, ammuffiti e pericolanti; per questa ragione meritano di essere rappresentate con tele macchiate di sangue, dipinte di pece.

Nel terzo millennio riusciamo ancora a convincerci che un diritto privato ad una cinquantina di persone sia un diritto individuale e non uno umanitario, in che direzione stiamo marciando?

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