Le piaghe del Sud

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Le piaghe del Sud: al Meridione la luce va via 6 volte più spesso, tasse più elevate e servizi mediocri

La luce va via sei volte più spesso nelle città del Sud, i bambini di Napoli “valgono” un terzo dei bambini delle città del Nord, le università meridionali fanno i conti con tagli maggiori rispetto a quelle settentrionali. Quello che c’è tra Nord e Sud non è un divario, ma un abisso. Secondo un’inchiesta del giornalista napoletano Marco Esposito, atenei, tassazione Irap, la Sanità e l’Istruzione, la qualità dei servizi energetici e dei trasporti sono le sette piaghe che dividono in due il nostro Paese. Mancanza di equità e di strategia hanno quindi causato quella situazione desolante ben fotografata dal recente rapporto Svimez.

Non è un problema di forma, ma di sostanza. Il Sud è diventato una grande area con fiscalità di svantaggio, dove a maggiore pressione fiscale corrisponde una precaria erogazione di servizi.

Questo perché lo Stato “ha continuato a chiedere a cittadini e imprese le stesse tasse di un tempo, però per risparmiare non ha più girato risorse a sufficienza agli enti locali, chiedendo a Regioni e Comuni di arrangiarsi aumentando le imposte locali”. Inoltre, “Non sono mai stati fissati dal governo i livelli essenziali delle prestazioni da garantire in tutto il territorio nazionale”, perché incerti sulla capacità di tenere fede agli impegni.

Il caso più clamoroso è nell’attribuzione dei fabbisogni standard comunali per asili nido e istruzione. Soltanto per queste due voci, infatti, invece di calcolare il fabbisogno comune per comune della popolazione, si è considerato il livello di servizi erogato nel 2010 con il paradosso che laddove il livello è nullo o insufficiente, si è considerato quel livello minimo p zero come il reale fabbisogno. In altre parole, se una città come Catanzaro non aveva asili nido nel 2010, si è sostenuto che non ne ha bisogno neppure oggi, riducendo il fabbisogno complessivo di quel comune. A Napoli per asili nido e istruzione è stato assegnato un fabbisogno di 72 euro per abitante, contro i 187 di Roma e i 237 di Milano. In pratica è come dire che i bambini di Napoli valgono un terzo degli altri”.

Non c’è equità neanche sul fronte universitario, “un campo nel quale il prestigio degli atenei del Sud era indiscusso: si pensi a quanti meridionali hanno fatto carriera fino alla Corte Costituzionale dopo una laurea in Giurisprudenza alla Federico II”.

Una quota crescente del Fondo di finanziamento ordinario (FFO) è distribuito in base a indici valutativi, i quali dovrebbero misurare lea qualità della didattica e della ricerca. Tuttavia, anche per difficoltà a trovare parametri oggettivi, nei fatti tali misurazioni non fanno che certificare il dualismo territoriale riproducendolo e amplificandolo, come un taglio del Fondo FFO che dal 2008 supera il 10 per cento al Sud mentre è sotto il 5 per cento al Centronord.

Sul fronte energetico, secondo i calcoli dell’Autorità per l’energia, “a fronte di un 4% di clienti trattati male al Centronord si registra un 23 per cento al Sud”.

 

Calano i redditi delle famiglie italiane, colpiti di più Centro e Nord. E aumenta il peso delle tasse.

Le tasse aumentano, i redditi scendono in tutta Italia. L’Istat fotografa un Paese in cui diminuisce in media dell’1,9% il reddito disponibile delle famiglie italiane, in cui il reddito a Bolzano è quasi il doppio di quello in Campania, in cui i redditi da lavoro dipendente tengono solo nel Nord-Ovest. Confcommercio segnala che il peso delle tasse sugli italiani aggrava sempre più i redditi delle famiglie.

L’Istat rivela che il reddito si distribuisce per il 30,9% nel Nord-ovest, per il 22,3% nel Nord-est, per il 25,7% nel Mezzogiorno e per il restante 21,1% nel Centro. La flessione riguarda tutto il Paese. L’area che ha registrato il calo più contenuto è il Mezzogiorno (-1,6%), con le diminuzioni più limitate in Basilicata (-0,8%) e Abruzzo (-0,9%). Nel Nord-est la riduzione è stata dell’1,8%, mentre nel Nord-ovest sul calo del 2% incidono le performance negative di Valle d’Aosta e Liguria (entrambe -2,8%). Nel Centro (-2%) sono Toscana (-2,3%) e Lazio (-2%) a registrare flessioni superiori alla media nazionale.

Le famiglie residenti nel Nord godono del livello più elevato di reddito disponibile per abitante, con valori quasi identici per Nord-ovest e Nord-est, di poco superiore a 20.300 euro e significativamente superiori alla media nazionale, pari a circa 18.000 euro. Nel Centro il valore si attesta attorno ai 18.700 euro, mentre risulta molto più basso nel Mezzogiorno (circa 13.200 euro), con un differenziale negativo del 35,2% rispetto a quello del Nord e del 24,9% rispetto alla media nazionale.

Considerando le singole regioni, in testa alla graduatoria del reddito per abitante si trova Bolzano (22.400 euro pro capite), seguita da Valle d’Aosta (21.800 euro) e Emilia Romagna (21.000 euro). Campania (inferiore a 12.300 euro), Sicilia (12.700 euro) e Calabria (12.900 euro) sono le regioni in cui il reddito disponibile per abitante è più basso.

I redditi da lavoro dipendente sono la componente più rilevante nella formazione del reddito disponibile delle famiglie (con un’incidenza superiore al 50% in tutte le regioni).

Rispetto a 35 anni fa la struttura della popolazione è fortemente cambiata: crescono i nuclei famigliari monocomponenti, soprattutto quelli con anziani soli che in percentuale sono quasi triplicati, passando dal 5% del 1977 al 15,1%. Le coppie con figli sono ormai meno del 40% (erano quasi il 53% nel 1977 e comunque oltre il 44% nel 2000). Una popolazione sempre più anziana e composta da nuclei familiari sempre più piccoli sposta l’allocazione delle risorse verso le cure mediche, l’assistenza e i servizi alla persona.

“Questi cambiamenti della domanda richiedono una risposta anche da parte delle imprese del terziario di mercato. Perdita del potere di acquisto e calo dei consumi restituiscono, dunque, l’immagine di un paese gravemente malato in cui appaiono sempre più necessarie ed urgenti le riforme istituzionali ed economiche, in primis quella fiscale -dice l’Ufficio Studi – L’attuale livello di pressione fiscale, infatti, è incompatibile con le esigenze della crescita e al momento non vi sono segnali di un cambio di rotta”.

“I problemi strutturali del nostro paese, che sono redditi fermi al 1986 e pressione fiscale da record mondiale purtroppo, anziché essere affrontati e risolti per rimettere la nostra economia sui binari della crescita, addirittura peggiorano”. Lo rileva la Confcommercio: “Il dato dell’Istat di oggi sulla diminuzione del reddito delle famiglie e quello del nostro Ufficio Studi sull’aumento delle tasse confermano si sono derubricate ad ordinaria amministrazione le vere emergenze economiche del nostro paese. Le imprese del terziario di mercato stanno vivendo una crisi che sembra non finire mai e sono ormai stremate”.

 

 

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